Una delle cose che trovo più belle e romantiche del web è la circolazione delle idee, la diffusione delle informazioni, la condivisione delle esperienze.
Ad esempio, se non avessi letto questo articolo di Silvia, molto probabilmente ancora adesso ignorerei l’esistenza dei bento box e il loro utilizzo.
Invece l’articolo l’ho letto; come accade 9 volte su 10 mi sono entusiasmata, ho bombardato la mia compagna di avventure di domande più o meno intelligenti (sto ancora pensando quale fosse la domanda intelligente!); ho aperto e chiuso il sito di Casa Bento una trentina di volte in 2 giorni. Ma alla fine ieri mattina ho concluso il mio primo ordine a scatola chiusa o meglio, a bento chiuso…
Già stamattina ho iniziato a pensare agli ennemila accessori che ho dimenticato di ordinare, primo tra tutti la scatolina magica, in grado di trasformare un banale uovo sodo in una deliziosa faccina di Winnie The Pooh. Quanto prima dovrò rimediare.
Adesso non mi resta altro che aspettare che mi venga consegnato il mio bel pacchetto, ma per ingannare il tempo ho già iniziato a spulciare il web (questa fonte inesauribile di informazioni) per studiare come si prepari un Bento.
Quel che mi è parso subito chiaro è che il Bento sia, primo fra tutti, una filosofia (come il 99% di tutto ciò che proviene dal Giappone), in grado di coniugare la necessità di nutrire il corpo appagando innanzi tutto lo spirito, attraverso lo sguardo. Non si avranno, quindi, 3 etti e mezzo di spaghetti ajo e ojo, né un quarto di bue alla scottadito, ma involtini, bocconcini, rotolini variamente decorati con spezie verdure intagliate e oggettini colorati.
A questa nobile e antica arte della preparazione e della presentazione dei cibi affido il mio bisogno di perdere qualche chiletto. Perché io le diete non riesco più a seguirle ma, mangiare poco e divertendomi, sicuramente riuscirò a farlo!
E ora che la teoria l’ho imparata per benino, non vedo l’ora di mettere tutto in pratica.