sabato 3 agosto 2013

Loro al campo e io continuo a rifletterci su


Ogni anno mi ritrovo a dire la stessa cosa possibile che sia il…. (giorno imprecisato tra il 15luglio  e il 3 agosto) e quassù non ci sia nessuno? Ma che ce le hanno a fare ste case se poi non ci vengono mai?

Poi succede che piano piano il paesello si riempia e il mio tanto amato silenzio venga rotto da chiassose feste in piscina, indette dal vicino di casa; che scendere a fare la spesa ai camioncini dei contadini si trasformi nella rissa all’ultimo sangue per un parcheggio e a spintoni per essere serviti per primi… e allora io torno a chiedermi ma già che non ci venite mai, ma non potreste trascorrere altrove anche il mese di agosto?!

Si, in questi frangenti mi trasformo in un essere asociale e intollerante. Allora mi chiudo nel mio giardino dorato (no, quest’anno non è dorato. L’abbiamo recuperato in tempo in tempo ed è bello, verde e rigoglioso… un po’ infestato di cicorioni, ma pur sempre verde!) e mi dedico alle mie attività preferite: produrre conserve come se non dovesse più sorgere il sole, uncinettare borse e borsette in fettuccia e perdermi nei miei pensieri. E quest’anno, per forza di cose, tutti i miei pensieri si sono concentrati sulla nostra situazione attuale: siamo sul cucuzzolo soli con Michela perché gli altri due sono ancora al campo scout. Alè.

Avevo sempre detto, in via teorica, che mi sarebbe piaciuto far fare loro l’esperienza scout. Anche se, tanti anni fa, ho lasciato il Gruppo prima del tempo, ho sempre sostenuto che quella scout fosse stata la migliore scuola di vita che abbia mai frequentato, soprattutto nel difficile periodo dell’adolescenza.

Se ripenso che al primo incontro, in una assolata domenica mattina di ottobre, i miei figli hanno acconsentito a fare una prova sicuramente per farmi un favore, per potermi dire un attimo dopo vabbe’, sei contenta? Ci siamo venuti, non portarci mai più… e ora non escono di casa se non hanno la divisa perfettamente in ordine.

E così, una domenica dopo l’altra, una caccia dopo l’altra, siamo arrivati al primo campo. A grandi linee so quel che avranno fatto in questa settimana, e non perché ce l’abbiano più o meno detto i Vecchi Lupi, ma perché ho vivissimi i ricordi del mio primo campo di… ahem 32 anni fa!

Un’alternanza di sentimenti opposti e, a volte contrastanti. L’emozione di vivere una settimana in (quasi) totale autonomia e la tristezza di non trovarsi nel nido sicuro di mamma e papà.
Imparare la cura e l’attenzione per se stessi e il prossimo senza subire la minima imposizione né con la promessa di sontuosi premi, ma con la sola consapevolezza che ogni preda cacciata è un passo in avanti nel cammino verso la Rupe.
Non rivalità ma sana competizione, non tanto nei confronti degli altri quanto verso se stessi.

Ma questo è stato un banco di prova anche per me. Non che sia la prima volta che trascorrano una settimana lontano da casa, ma è sicuramente la prima volta che io non sappia, in tempo più che reale, come passino le loro giornate.

Con grande determinazione, Tommaso ha chiesto di prendere la specialità di cuoco, cucinando per tutto il Branco una torta, muffin e biscotti (spero non tutti nello stesso giorno). A casa abbiamo fatto le prove della torta e, di conseguenza gli ho spiegato “la teoria dei muffin”, ma i biscotti non abbiamo fatto proprio in tempo a prepararli. La sera prima della partenza gli ho consigliato di “trasformare” i biscotti in trancini alla Nutella (tanto ormai ha capito che uova e zucchero vanno montati fino a farsi cadere le braccia). Io lo so benissimo che quello non fosse un consiglio del tutto disinteressato, bensì figlio della consapevolezza di non poter essere, in caso di difficoltà, lì accanto a lui ad aiutarlo, a guidarlo. Credo che istintivamente l’abbia capito anche lui, perché non c’è stato verso di convincerlo: ha scritto biscotti, biscotti dovranno essere e biscotti sicuramente saranno stati.


Ah, la settimana è quasi finita e domani ce li andiamo a riprendere! #nessunanuovabuonanuova.

1 commento:

  1. Credo fermamente che tutte le esperienze che vivono e che vivranno lontano da noi siano pezzetti di "ali" che doniamo loro per imparare a volare.
    La cosa più "difficile" è che quel volo dove impareranno ad amare, convivere, sorridere, ma anche piangere... ecco in quel volo lì noi non ci saremo.
    Posso azzardare, per esperienza, che ogni anno che passa "mando giù quel boccone" di vuoto o meglio di sensazione che i figli sono sempre meno "nostri" ma più parte del Mondo...E spero che riusciremo a consegnarlo loro, meglio di come lo stiamo "trattando".

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