Ogni anno mi ritrovo a dire la stessa cosa possibile che sia il…. (giorno imprecisato
tra il 15luglio e il 3 agosto) e quassù
non ci sia nessuno? Ma che ce le hanno a fare ste case se poi non ci vengono
mai?
Poi succede che piano piano il paesello si riempia e il
mio tanto amato silenzio venga rotto da chiassose feste in piscina, indette dal
vicino di casa; che scendere a fare la spesa ai camioncini dei contadini si
trasformi nella rissa all’ultimo sangue per un parcheggio e a spintoni per
essere serviti per primi… e allora io torno a chiedermi ma già che non ci venite mai, ma non potreste trascorrere altrove anche il mese di agosto?!
Si, in questi
frangenti mi trasformo in un essere asociale e intollerante. Allora mi
chiudo nel mio giardino dorato (no, quest’anno non è dorato. L’abbiamo
recuperato in tempo in tempo ed è bello, verde e rigoglioso… un po’ infestato
di cicorioni, ma pur sempre verde!) e mi dedico alle mie attività preferite:
produrre conserve come se non dovesse più sorgere il sole, uncinettare borse e
borsette in fettuccia e perdermi nei miei pensieri. E quest’anno, per forza di
cose, tutti i miei pensieri si sono concentrati sulla nostra situazione attuale: siamo sul cucuzzolo soli con Michela
perché gli altri due sono ancora al campo scout. Alè.
Avevo sempre detto, in via teorica, che mi sarebbe
piaciuto far fare loro l’esperienza scout. Anche se, tanti anni fa, ho lasciato
il Gruppo prima del tempo, ho sempre sostenuto che quella scout fosse stata la
migliore scuola di vita che abbia mai frequentato, soprattutto nel difficile
periodo dell’adolescenza.
Se ripenso che al primo incontro, in una assolata
domenica mattina di ottobre, i miei figli hanno acconsentito a fare una prova
sicuramente per farmi un favore, per potermi dire un attimo dopo vabbe’, sei contenta? Ci siamo venuti, non
portarci mai più… e ora non escono di casa se non hanno la divisa
perfettamente in ordine.
E così, una
domenica dopo l’altra, una caccia dopo l’altra, siamo arrivati al primo campo.
A grandi linee so quel che avranno fatto in questa settimana, e non perché ce
l’abbiano più o meno detto i Vecchi Lupi, ma perché ho vivissimi i ricordi del
mio primo campo di… ahem 32 anni fa!
Un’alternanza di sentimenti opposti e, a volte contrastanti.
L’emozione di vivere una settimana in (quasi) totale autonomia e la tristezza
di non trovarsi nel nido sicuro di mamma e papà.
Imparare la cura e l’attenzione per se stessi e il
prossimo senza subire la minima
imposizione né con la promessa di sontuosi premi, ma con la sola
consapevolezza che ogni preda cacciata
è un passo in avanti nel cammino verso la Rupe.
Non
rivalità ma sana competizione, non tanto nei confronti degli altri quanto verso
se stessi.
Ma questo è stato un banco di prova anche per me. Non
che sia la prima volta che trascorrano una settimana lontano da casa, ma è
sicuramente la prima volta che io non sappia, in tempo più che reale, come passino
le loro giornate.
Con grande determinazione, Tommaso ha chiesto di
prendere la specialità di cuoco, cucinando per tutto il Branco una torta,
muffin e biscotti (spero non tutti nello stesso giorno). A casa abbiamo fatto
le prove della torta e, di conseguenza gli ho spiegato “la teoria dei muffin”,
ma i biscotti non abbiamo fatto proprio in tempo a prepararli. La sera prima
della partenza gli ho consigliato di “trasformare” i biscotti in trancini alla
Nutella (tanto ormai ha capito che uova e
zucchero vanno montati fino a farsi cadere le braccia). Io lo so benissimo
che quello non fosse un consiglio del tutto disinteressato, bensì figlio della consapevolezza di non poter essere, in caso
di difficoltà, lì accanto a lui ad aiutarlo, a guidarlo. Credo che
istintivamente l’abbia capito anche lui, perché non c’è stato verso di
convincerlo: ha scritto biscotti, biscotti dovranno essere e biscotti
sicuramente saranno stati.
Ah, la settimana è quasi finita e domani ce li andiamo
a riprendere! #nessunanuovabuonanuova.
Credo fermamente che tutte le esperienze che vivono e che vivranno lontano da noi siano pezzetti di "ali" che doniamo loro per imparare a volare.
RispondiEliminaLa cosa più "difficile" è che quel volo dove impareranno ad amare, convivere, sorridere, ma anche piangere... ecco in quel volo lì noi non ci saremo.
Posso azzardare, per esperienza, che ogni anno che passa "mando giù quel boccone" di vuoto o meglio di sensazione che i figli sono sempre meno "nostri" ma più parte del Mondo...E spero che riusciremo a consegnarlo loro, meglio di come lo stiamo "trattando".