La scuola è finita. Le pagelle le abbiamo (più o meno) ritirate; le feste di
classe le abbiamo organizzate; e ora siamo qui, come ogni anno, a porci a stessa domanda: per la promozione, regalo si o regalo no?
Mentre
cerchiamo di trovare, una volta per tutte, risposta a questo esistenziale
interrogativo, secondo solo a “Chi siamo,
da dove veniamo?” figlio Francesco, come suo fratello un anno prima
di lui, ha conquistato il tanto
ambito cellulare.
Per la cronaca si tratta di un piccolo smatphone che
comprammo l’autunno scorso per tamponare “un’emergenza” e, quasi
immediatamente, riposto in un cassetto in attesa che, anche per Francesco,
arrivasse il momento giusto.
Ma quand’è il momento
giusto? Come in
ogni aspetto che riguardi l’educazione dei figli, il concetto di giusto e sbagliato sono a dir poco
soggettivi. Noi abbiamo scelto di dotare i ragazzi di cellulare nel momento
in cui abbiamo ritenuto arrivato il
momento di allentare le briglie e iniziare a concedere loro una maggiore
libertà di movimento, il che ha coinciso con l’inizio della scuola media.
Ovviamente, impazienti ed eccitati, i ragazzi ci hanno implorati di anticipare
il momento alla fine della scuola elementare per poter restare in contatto con
i loro compagni…
Così,
in una calda mattina della scorsa settimana (quella in cui tutti i computer di casa hanno dato forfait e la
perturbazione del Nord Europa non si era ancora abbattuta sul nostro Paese),
mi sono recata al centro commerciale,
quello in cui per una vita non ho
comprato che ciucci e pannolini (com’era lontana l’epoca dei lavabili!) e, invece di dirigermi verso il solito negozio
di puericultura (come già era accaduto l’anno
scorso), ho preso la strada di quello del nostro gestore telefonico preferito.
Per
quanto sia Tommaso che Francesco abbiano ricevuto il cellulare (oh pardon, lo
smartphone) proprio sul finire
della V elementare, e per quanto alla fine di una lunga serie di riflessioni, senza
turbare l’anima di Maria Montessori, sono arrivata alla conclusione che un regalo
per la promozione non sia cosa poi tanto disdicevole, non mi sento di associarlo
al concetto di premio. Il cellulare non è un premio.
Il cellulare è uno
strumento per comunicare,
e come tale deve essere trattato.
Se
fino alla prima settimana di giugno occorre presentarsi di persona personalmente, al cospetto della maestra,
per riprendere i figli a scuola, tre mesi dopo nessuno mostra il benché minimo
interesse alle modalità in cui i ragazzi facciano ritorno a casa. E le suddette
modalità sono di sicuro le più svariate ma quasi nessuna, salvo casi del tutto
eccezionali, prevede la presenza dell’amato genitore di fronte al cancello
della scuola.
E
se fino alla V elementare l’intensa vita
sociale è regolata e gestita in toto
dai genitori, appena dopo l’estate guai ad azzardarsi a prendere l’iniziativa.
La prima mossa spetta esclusivamente ai ragazzi, tu madre vieni chiamata in
causa in un secondo momento, per preparare-il-pranzo,
recuperarli-a-metà-strada, vegliare-come-un’ombra-silenziosa-e-discreta-sul-loro-studio-pomeridiano-comparendo-all’ora-della-merenda-con-un-ciambellone-appena-sfornato.
Non
parliamo poi del momento in cui arriva la fatidica domanda, solitamente appena
dopo Pasqua, quando la primavera non è più solo una teoria “…ma’, posso uscire con i miei compagni?”, per diventare poi una semplice affermazione, o peggio ancora,
una educata comunicazione di servizio, nello spazio di un “…ma si, se hai finito tutti i compiti puoi
andare”. Sì, perché il potere della gentile
concessione riusciremo a esercitarlo a mala pena un paio di volte. Dopo potrebbe
essere solo un braccio di ferro, un do ut
des, o il più frequente oggetto di estenuanti trattative.
Anche
noi, all’epoca nostra, ci siamo (più o meno) trovati nelle stesse situazioni,
eppure siamo (più o meno)
sopravvissuti anche senza i cellulari e gli smartphone, ma non starò qui a replicare le obiezioni che avrebbe mosso mia nonna
perché, primo all’epoca nostra i
cellulari erano forse giusto in mente dei;
secondo i marciapiedi erano costellati di cabine telefoniche, ce n’era una ogni
venti metri, e i bar erano dotati di telefoni pubblici; terzo è decisamente più pratico (e produttivo) aiutare i ragazzi a familiarizzare con gli
strumenti a loro disposizione che colpevolizzarli perché all’epoca nostra tutto questo non lo avevamo.
No... ecco... aiuto!!
RispondiEliminaPer fortuna davanti a me ho ancora tre anni di scuola primaria :D
Al mio primo figlio l'abbiamo regalato in occasione della Cresima, Seconda media. Al mio secondo...vedremo, ora ha frequentato la prima
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